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L’appoggio del piede

03 marzo 2016


Comprendere come funzionino i meccanismi di appoggio del piede si rivela essere di fondamentale importanza sia per la scelta delle scarpe più adatte per correre, sia per correggere eventuali difetti ottimizzando così il gesto atletico, scongiurando il rischio di infortuni.

PRONAZIONE E SUPINAZIONE

Nell’ambito medico, la pronazione indica la fisiologica rotazione del piede verso l’interno, mentre con supinazione si indica una certa rigidità articolare per cui il podista non riesce a eseguire la pronazione fisiologica del piede e ruota verso l’esterno.

Analizziamo le diverse fasi di appoggio: contatto, appoggio o fase intermedia e spinta.Durante la fase di contatto che ha la durata di circa il 25% dell’intero ciclo  il piede atterra al suolo con differenti angolature utilizzando la parte esterna del calcagno. Nella fase di appoggio che dura circa il 40%, il peso di corpo viene poi totalmente sorretto dal piede, e le forze di compressione meglio disperse, con una fisiologica rotazione del piede verso l’interno detta pronazione. Infine, durante la fase di spinta che dura circa il 35% dell’intero ciclo, il piede ruota verso l’esterno e va in supinazione e funziona come una leva rigida che trasmette la forza esplosiva al terreno e consente all’atleta di avanzare.

Di pronazione e supinazione nella corsa si è cominciato a parlare agli inizi degli anni ottanta con la concezione che tali termini facessero riferimento a difetti di appoggio del podista che dovevano essere corretti attraverso plantari appositi. Tale approccio sicuramente condivisibile, determinava però l’alterazione degli equilibri di ogni singolo runner che, corretto l’appoggio, finiva con l’infortunarsi. La realtà, provata sulla mia pelle fra le altre cose, è che correggere l’appoggio ha senso nella misura in cui si accerti l’esistenza di un problema specifico. Diversamente, si dovrebbe continuare a correre ognuno con il proprio appoggio come si è sempre fatto, al fine di preservare la naturalità del gesto e l’equilibrio bio meccanico proprio di ciascuno di noi. Personalmente, sotto consiglio sbagliato all’inizio della mia carriera, ho acquistato un paio di scarpe che avrebbero dovuto correggere il mio appoggio. Risultato? Una fastidiosa sindrome della bandeletta ileotibiale che poi è diventata anche fascite plantare. Morale della favola: ho cambiato scarpe. Non avevo nessun problema con il mio appoggio naturale eppure avevo provato a correggerlo, sbagliando. Piano piano la situazione è tornata alla normalità.

Il problema potrebbe sorgere nel momento in cui la pronazione o la supinazione risultino eccessive e diano luogo a patologie muscolari o tendinee. In questo caso, previo consiglio medico, si potrà optare per la scelta di calzature da corsa specifiche o plantari in grado di correggere il difetto. Senza dimenticare mai lo stretching


ESISTE L’APPOGGIO IDEALE?

Si consideri che ogni deformazione dell’appoggio del piede ha delle ripercussioni sulla nostra schiena, in particolare sulla curvatura lombare. Dalla pianta del piede partono, infatti, impulsi propriocettivi che arrivano fin su a livello della cervicale lungo tutta la colonna vertebrale e le sue curvature che,una volta elaborati,  sono fondamentali per mantenere l’equilibrio durante la corsa.

In particolare, il tipo di appoggio del piede al suolo varia in rapporto della velocità: più si va lenti, più l’impatto sarà di tallone ( ovviamente le eccezioni non mancano); più si aumenta la velocità, più la tendenza sarà di appoggiare con l’avampiede o la punta ( avete presente i velocisti e le scarpette chiodate? I chiodi sono esclusivamente sull’avampiede). Il tallone non è un buon ammortizzatore, e in ogni caso, la durata di appoggio al suolo è leggermente più lunga ( circa 3 centesimi di secondo). Viceversa impattare di avampiede potrà avere un buon effetto ammortizzante grazie al sistema complesso di ossicini muscoli e legamenti anche se si avrà un maggiore carico statico mancando di fatto la rullata del piede.

Il problema è quindi quello di capire se in effetti possa esistere un appoggio ideale. Nel corso degli anni si sono dibattuti gli argomenti più disparati al riguardo: ad esempio la filosofia del barefoot, della corsa a piedi nudi, del correre naturale che rivoluziona il modo di intendere tradizionalmente la tecnica di corsa e l’idea di appoggio del piede.

Ovvio che, a seconda del tipo di appoggio potranno essere sollecitate alcune piuttosto che altre parti del nostro corpo: ad esempio correre di tallone sollecita maggiormente ginocchia rispetto a chi corre di avampiede, ma quest’ultimo tipo di appoggio sollecita maggiormente le caviglie.

Quindi come comportarsi?

Sicuramente la scelta di un ottimo paio di scarpe di categoria adatta alle nostre esigenze di corsa potrà aiutarci in questo senso. Inoltre, l’appoggio del piede deve essere sempre rapportato alle caratteristiche del terreno dove si corre. Sarà più ammortizzante una corsa sull’erba che una sull’asfalto, in grado di ammortizzare solo il 5% dell’energia negativa propria della corsa (correre su un manto erboso circa il 50%). Una buona scarpa o soletta può incrementare l’effetto ammortizzante ( ad esempio correre a piedi nudi sull’erba equivale a correre con un buon paio di scarpe da corsa ammortizzanti sulla strada).

Quindi, in base a tutte queste variabili che entrano in gioco, si è propensi a ritenere che l’appoggio ideale non esiste. Esiste l’appoggio fisiologico proprio di ciascun podista in relazione al suo delicato equilibrio bio dinamico. Ogni correzione potrà rivelarsi utile solo in presenza di specifiche patologie fermo restando che, ogni forma di correzione andrà necessariamente ad incidere sulla prestazione e nel tempo, potrebbe portare alla sollecitazione ed affaticamento di alcune parti del corpo piuttosto di altre.

Torneremo sull’argomento.

Buonanotte!

Gabry F.

< Amaranto, questo sconosciuto. Scende la pioggia ma che fa... >
di IronGabry
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